UNITRE MEDA

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università delle tre età

Il torrente Tarò

Il torrente Tarò

Il mulino in zona Pazzira

Carta topografica dei contorni di Milano, dette mappe di Giovanni Brenna, quadro n. 37, anno 1837.
Il torrente Tarò da Cabiate a Cesano Maderno

[expand title=”Il torrente”]

Partiamo dai documenti ufficiali, ossia dal Piano di Governo del Territorio di Meda dal quale estrapoliamo questo paragrafo: «Il settore centro-meridionale dell’alta pianura e di raccordo al Livello Fondamentale è solcato dal torrente Tarò, che si sviluppa con andamento NE-SW attraversando tutta l’area urbanizzata di Meda, e che rappresenta il ricettore delle aste idriche che solcano il pianalto a ferretto. Oltre ad esso non si rilevano altri corsi d’acqua naturali di particolare rilievo, fatta eccezione per due rogge, la Borromeo scorreva nella porzione occidentale da nord a sud, mentre la Traversi attraversava la porzione orientale del territorio comunale, da NE verso SW, proseguendo entrambe il loro corso nei comuni limitrofi. Tutto il sottosuolo della zona centrale (4-5 metri) è ricco di acqua». Si tratta di una falda che si estende dal confine ovest con Lentate sul Seveso alla via Francia, con presenza, una volta, di fontanili naturali. Interessante conoscere che nel comune di Lentate è stata terminata una vasca di laminazione di quasi un milione di metri cubi per contenere le piene del Seveso costruita nella zona detta della Valle dei Mulini. In questo Piano di Governo del Territorio l’unico elemento classificato come reticolo idrico principale è il torrente Tarò (MB007 d.g.r. 4229/2015).

Ecco alcuni dati generali sul torrente che possiamo reperire facilmente in internet o in bibliografie che trattano di geologia del nostro territorio.

Il Terrò è un affluente di sinistra del Seveso ed è difficile individuarne la sorgente. Nasce sulle colline moreniche tra Capiago Intimiano e Alzate Brianza, attraversa la brughiera di Brenna-Olgelasca ed entra in Cantù in zona Vighizzolo. Qui riceve l’acqua dai seguenti affluenti: torrente Robbia (origina da Capiago), roggia Ca’ Nova (origina da Capiago), roggia Cascina Birrona, roggia di Brenna emissaria del lago di Montorfano, roggia di Fecchio, roggia Monte Pennino, roggia Varenna, roggia Varenna Nord, roggia Olgelasca (origina da Brenna). Passato il confine con Mariano Comense, il torrente si ingrossa grazie alla confluenza della Roggia Vecchia, la quale origina a nord nella piana di Montorfano-Orsenigo (è l’asse drenante di tutto il territorio Nord-Sud), dai torrentelli Lottolo e Ramarino e soprattutto dalle acque provenienti dal depuratore consortile dove vengono convogliati gli scarichi urbani. Nel territorio di Cabiate si immettono nell’alveo del Terrò in sponda idrografica destra i torrenti Roncaccio, Valletta e Valle di Cabiate. In territorio di Meda cambia nome in Tarò e i suoi affluenti sono: un ramo secondario del Valle di Cabiate e i torrenti Brughiera, Valle della Brughiera. Attraversato il confine il torrente prendendo il nome di Certesa diviene tributario di sinistra del fiume Seveso nel quale confluisce all’altezza del comune di Cesano Maderno.

ASM, Fondo U.T.E. mappe piane, Catasto Teresiano, 1721. Il torrente Tarò viene pure denominato La Valle. Si noti la strada stretta che dalla via per il Ceredo (via Cialdini) porta al Tarò (oggi vicolo Tarò). Al termine c’era il mulino
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[expand title=”Un po’ di storia”]
Cominciamo a dire che le carte amministrative dell’archivio Antona Traversi, già Monastero di San Vittore lette e tradotte da fior di latinisti e storici quali Carlo Agrati, Mario Corbetta, Arnaldo Martegani, Cesare Manaresi, Caterina Santoro, Franca Maria Baroni, e di recente Timothy Salemme ci tramandano il nome di “Sardezia” quale unica definizione del torrente Terrò/Certesa lungo tutto il suo percorso. E qui non si può non notare una certa sintonia con il termine Certesa che denomina il torrente nell’ultimo tratto tra Seveso e Cesano Maderno. Probabilmente perché l’ambiente naturale che circondava il tratto fluviale o era disabitato quindi privo di rumori (silenzioso come una certosa) o di proprietà di ordini religiosi quali Benedettine o Domenicani.

Per i Medesi il Terrò era comunemente chiamato “la Val”, denominazione confermata nel catasto teresiano del 1721, poi la dizione è col tempo scemata lasciando spazio a quella di “Tarò” ufficializzata nelle carte comunali e nei catasti. Probabile che i Medesi ereditando la definizione di Terrò che denomina tutto il tratto precedente fino alla fonte, ne abbiano modificato la fonetica a causa della parlata locale più chiusa e per estensione anche la grafia.

Cosa significa Terrò. La risposta la leggiamo sul “Dizionario di toponomastica lombarda” del Dante Olivieri: «Torrente. Vi si legge bene un TERRATUM. Mi ricorda alla voce piemontese Tarò, Terò, a indicare dei cumuli di terra che si disfanno d’inverno per coprirne il prato, onde preservare l’erba da gelo. Il nostro Terrò avrà però qualche altro senso che mi sfugge». Una spiegazione che, a quanto pare, non soddisfa neanche lo studioso (un’autorità nel suo ambiente). Siamo nel campo delle ipotesi, una potrebbe essere legata all’erosione di terra che l’impetuosità del torrente compiva e poi trasportava a valle insieme a sassi, pietre, alberi e aggiungo immondizia, scarichi industriali. Oggi le sue sponde sono contenute in gran parte da grandi muraglioni, a Cabiate addirittura il letto è cementato tanto che l’acqua così canalizzata la si perde in tutta fretta cedendola agli altri paesi in valle creandogli non pochi problemi. Un tempo era diverso, grazie alla presenza dei pianori incolti o tuttalpiù coperti di boschi cedui le piene del torrente venivano smaltite, assorbite dal terreno evitando le inondazioni e i danni conseguenti. Grazie anche ad opere di ingegneria si crearono delle chiuse quale “Il salto del gallo” presso il “tombone” della ditta Cassina evitando piene di acqua pericolose.

Planimetria dell’abitato Comune di Meda 1927, Vicolo Tarò e il torrente colorato in azzurro
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[expand title=”Gli ex voto gettati nel Tarò nel Medioevo”]
Questa storia antica è tratta nientemeno che dalla “Leggenda dei Santi Aimo e Vermondo”, documento “codice 509” depositato alla Biblioteca Trivulziana di Milano. Si tratta di un atto notarile scritto da Lantelmo Vezio nel 1337, ma una nota ci segnala che questo libro fu fatto per opera della monaca Fiorina de Solbiate e questo permette di essere più precisi e posticipare la data. Dalle pergamene del monastero sappiamo che Fiorina era monaca nel 1353 e quattro anni dopo anche canevaria di esso, cioè dispensiera o tesoriera. Assai probabilmente in tale qualità ordinò questo lavoro, circa il 1360, come del resto lo provano le undici pregevoli illustrazioni che lo adornano i cui personaggi portano i costumi dell’epoca di Galeazzo e Bernabò Visconti. È positivo che già nel 1337 la venerazione dei due santi fondatori era viva.

Riporto la parte del libro che ci interessa nella traduzione italiana del 1933 di Carlo Agrati.

«Cominciano i miracoli che per loro mezzo Iddio si è degnato di operare. Mentre nella chiesa di San Vittore nella quale riposano i corpi dei venerabili uomini erano deposti diversi e vari oggetti attestanti diverse e varie infermità in testimonio delle stesse infermità guarite per i meriti loro, una certa badessa reggente allora il monastero, pensando poco religiosamente ed assai indevotamente, si dice che abbia fatto asportar fuori dalla chiesa tutte quelle cose e le abbia fatte gettare nel torrente alla rinfusa e senza rispetto. Al qual proposito, come si crede, Iddio adirato la percosse con una infermità così grave che divorava le membra del suo corpo in modo che per salvare il resto del corpo si dovevano le medesime amputare minutamente e così recise si seppellivano nel cimitero. Finalmente col terminare così dolorosamente la sua vita, e amaramente pagando il tributo di ogni carne con una morte così angosciosa ammonì che convenne esser sommessi e riverenti verso Iddio e i Santi e non ingrati dei benefici ricevuti».

Il testo continua con il racconto della prima guarigione: « Come la signora Contessa amministrava l’ufficio di badessa nel monastero di Meda, incorse in una grave e dolorosa infermità in un ginocchio, la quale visitata accuratamente e frequentemente dai medici, dopo aver tentato a lungo con l’arte loro e la loro perizia nel tentare rimedi curativi della detta infermità…»

Carlo Agrati nel 1932 scova il documento nella biblioteca milanese, lo traduce e nella parte dedicata al “Commento”, al paragrafo “La badessa senza fede” si chiede se questi ex voto siano veramente esistiti e chi fosse la badessa irreligiosa che aveva ordinato di buttarli nel torrente. Certamente la badessa Contessa da Besozzo, guarita da una infermità al ginocchio per intercessione dei santi fondatori non c’entrava nulla. Fu proprio lei la stessa che operò la traslazione dei corpi, scoperchiando le tombe e, al suo tempo non c’erano già più. Ora la badessa che precedette Contessa fu tale Maria di Besozzo, la quale resse il monastero dal 1241 al 1276, cioè per ben 35 anni e alla sua dipartita non c’erano più e non ci sono dubbi su questo fatto. Inoltre, come spiegare la malattia e la morte atroce quando sappiamo che ella fu monaca per cinquanta anni (dal 1226 alla sua morte) e morì di vecchiaia? Il fatto che si sarebbero buttati nel torrente Sardezia aggiunge ulteriori perplessità. Di solito il torrente è asciutto, ma potrebbe essere stati buttati in un giorno di piena. Ma per far questo la monaca avrebbe dovuto attraversare l’abitato del paese camminando per un centinaio di metri fuori dell’estremo recinto del convento. Alla luce di queste riflessioni l’esistenza degli ex voto e la loro distruzione sembra assai dubbia.

Carlo Agrati, I santi Aimo e Vermondo Corio e il più antico documento della loro tradizione, paragrafo “Cominciano i miracoli che per loro mezzo Iddio si è degnato di operare pagg. 18-19
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[expand title=”Ponti e passerelle e un traghetto…”]
Lungo il percorso medese non mancavano ponticelli, passarelle per il passaggio da una sponda all’altra. Per esempio, all’altezza del civico 78 di via Como (già casa Cimnaghi –Bogiê), c’era il passaggio per attraversare il torrente e raggiungere la cascina Rho. Anche dove c’era l’usteriê del Gal di via Como al civico 50 (passata in gestione ai Maspero Perzêcrach) partiva una stradina che attraversava la corte dei Cimnaghi (Gianee) e passava il torrente collegandosi con il rione Svizerê (via Luigi Rho). Il primo ponte in muratura è stato certamente quello di via Cialdini. La documentazione comunale ci rimanda agli anni 1835-40, seguono carteggi per l’ampliamento dello stesso tra il 1846 e il 1852. Da lì partiva un sentiero attiguo al torrente che attraversava tutta la proprietà Besana e terminava al ponte presso l’asilo infantile Maria Bambina. Un’altra passerella nata per uso interno dell’industria Baserga di via Mazzini fu costruita nel 1913, oggi al suo posto c’è un ponte. Gli abitanti della via Como, come quelli di piazza Municipio e dintorni conoscevano diversi passaggi che permettevano di attraversare il Tarò, soprattutto i bambini erano maestri nel percorrere tratti di torrente tanto che c’era il detto “Tri in de la Val” per additare queste compagnie di ragazzetti scalmanati e incuranti del pericolo.

Il paese di Meda è sempre stato “costretto” tra la collina e il torrente, poche erano le cascine aldi là di questo territorio e il collegamento con l’esterno era assicurato da una specie di traghetto. Il libro cronaca del monastero riporta un fatto interessante e che merita di essere ricordato. Personalmente anni fa ebbi l’occasione di leggerlo e di annotare diversi passaggi, ma credo che le parole di Cristoforo Allievi nella sua “Storia di Seveso” al paragrafo XI – La vita nel Monastero di Meda siano più pertinenti.

«Le monache avevano una spezieria e a dire dell’Emanuele Lodi: “una fornitissima e provvedeva a medicinali e altri aromati per il Monastero ma anco a tutta Meda e contorni massimamente per i poveri” di modo che i nostri paesi assieme alla spezieria del convento di San Pietro erano in tempi calamitosi e scarsi di comodi, provvisti del servizio sanitario». Lo studioso dopo aver citato un passo del libro Breve istoria di Meda, e traslatione de’ santi Aimo e Vermondo della nobilissima famiglia de Corij milanesi, con la loro vita, scritto nel 1629 dal confessore delle monache, continua citando alcuni brani del Cronicon del monastero:

«Dirò anche che in tempi in cui il medico lo si incontrava solo in alcuni dei paesi più importanti, le monache di Meda lo facevano venire da Desio per le loro inferme ma anche per i malati del paese (libro cronaca pag. 37). Quando nel 1715 il conte Carlo Borromeo fece la proposta che si avesse a procurare un medico per i paesi della pieve al di qua delle Groane, le monache tosto concorsero con la cifra di lire 200 all’anno, come i Domenicani di San Pietro e l’Opera Pia Arese con lire 300 e procurarono allo stesso una abitazione in Meda (libro cronaca pag. 47 e seguenti)».

Disgraziatamente, ma per ragioni indipendenti dal monastero, il medico vi rimase solo qualche anno, morì travolto dal traghetto rovinato per la piena della Valle. Si tramanda che il grave fatto avvenne lungo il passaggio nel letto del torrente che collegava la cascina Cimnaghi con la cascina Rho. Di piene del Tarò ne ricordiamo tante, certamente quella del 1951 fu la più disastrosa.

Nel 1913 la ditta Giuseppe Baserga stipula una polizza per un prestito con la Cassa Depositi e Prestiti, nel quale anticipa lire 150 come garanzia, con lo scopo di “costruire una passerella nel torrente Tarò”

Oggi al posto della passerella si è edificato un ponte che unisce le due sponde del torrente

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[expand title=”Un mulino in zona Pazzira”]
Una attenta lettura del catasto Lombardo Veneto del 1855 ci permette di rilevare la presenza di una strada comunale denominata “Stretta del Mornerone” che collegava la vicinale per il Ceredo con il Tarò. Nel registro allegato detto “Indicazioni delle strade regie 1858” viene riportato il nome della stradina e nell’altro registro dei fabbricati rileviamo che le proprietà sono dei signori Ernesto, Achille ed Enrico Maunier. Una ventina di anni dopo, nel 1878 il Comune di Meda riqualifica la strada mettendo in opera lavori di miglioria creando un rettilineo all’interno delle costruzioni esistenti o in costruzione e denominando la via “strada della Scaffetta” ossia l’attuale Vicolo Tarò. L’indizio del “Mornerone” fa pensare che lì ci fosse la presenza di un mulino anche se non rilevato nel catasto Teresiano del 1721 e quindi funzionante secoli prima. In fondo alla strada, a fianco della curt di Piatee, dove oggi si trova un pino, lì scendeva una stradina nel letto del torrente, luogo privilegiato delle lavandaie della piazza Cavour. Parlando con il signor William Bonora l’attuale proprietario della casa-azienda a ridosso del torrente, ho potuto verificare che proprio in questo punto (compreso parte del fabbricato dove si deposita il legname), l’alveo del torrente è ampio e vi confluiscono le acque del Tarò e della Valletta che proviene dalla collina soprastante. Incanalando le acque con una adeguata barriera di pietre era possibile sfruttare la forza motrice idrica prodotta per azionare la ruota di pietra di un mulino. Nel paragrafo precedente ho parlato dei ponti, quello della via Cialdini come quelli di via Luigi Rho, via De Amicis e altri aveva i parapetti in pietra grigia tolti negli anni Novanta perché erano un intralcio al defluire delle acque durante le piene. Queste sponde prevedevano ai lati due “panettoni” e all’interno quattro, cinque lastre. L’altezza era di circa 1,10 metri, la lunghezza dei blocchi dipendeva dal ponte (attorno al metro) e legati da una piastra di ferro, lo spessore era di circa 50 cm.

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7 Il ponte di via Cialdini con i nuovi parapetti in metallo

8 ASM, Fondo U.T.E. mappe piane, Catasto Lombardo Veneto, Comune di Meda 1855. La stretta del Mornerone. Il quadratino rosso indica la posizione dove doveva essere collocato il mulino secoli precedenti. La casa posta all’inizio della via con il n. di mappa 246 era di proprietà della Causa Pia Rho

9 Vicolo Tarò, a destra casa-azienda Bonora

10 Tratto del Tarò in fondo al vicolo, sito in zona deposito legnami azienda Bonora
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[expand title=”Viaggio fotografico lungo il torrente a Meda”]

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11 Zona via Luigi Rho

12 Via Cialdini

13 Anni Cinquanta, l’allora largo Europa di fronte l’Asilo Maria Bambina (Fotografia archivio comunale)

14 Oratorio santo Crocifisso-viale Francia

15 Via Cadorna di fronte casa Borgonovo

16 Via Vignazzola in territorio di Meda

17 Via Vignazzola in territorio di Seveso
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[expand title=”Note”]

– Per il primo paragrafo “Il torrente”: Definizione della componente geologica, idrogeologica e sismica a supporto del piano di governo del territorio di Meda. “Relazione tecnica”. L.R. 11 marzo 2005, n° 12 Studio Tecnico Associato di Geologia Dott. Geol. Roberto Carimati Dott. Geol. Giovanni Zaro Via Dante Alighieri 27, 21045 Gazzada Schianno (VA) luglio 2011;

– Per il secondo paragrafo “Un po’ di storia”: Dante Olivieri, Dizionario di toponomastica lombarda, Ceschina, 1961 Milano;

– Per il terzo paragrafo “Gli ex voto gettati nel Tarò nel Medioevo”: Carlo Agrati, Turismo in provincia, Pro familia, Milano 1932 Capitolo Meda e il monastero di San Vittore, paragrafo “Antichissime pitture”.
Carlo Agrati, I santi Aimo e Vermondo Corio e il più antico documento della loro tradizione, officine grafiche Esperia, via Sarpi 44, Milano, 1933. Documento della Triulziana;

– Per il quarto paragrafo “Ponti e passerelle e un traghetto…”: CRISTOFORO ALLIEVI, Per una storia di Seveso, dal bollettino parrocchiale di Seveso “Il Risveglio Cristiano”, anni 1916-19;

– Per il quinto paragrafo “Un mulino in zona Pazzira”: Catasti e planimetria del territorio di Meda;

Un grazie a William, Marc e Luisa Bonora, Vittorio Colnago, Fabrizio Confalonieri, Alberto Mariani.
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Felice Asnaghi