UNITRE MEDA

UNITRE MEDA

università delle tre età

Il Mulino

Ul Murin: da luogo di vita a bene architettonico e rudere

Parte prima

Benché molto sia stato scritto e molto è stato detto sul Mulino di Meda, sito lungo l’attuale via Angeli Custodi/via Molino, le notizie in realtà sono sempre quelle e nessuno per ora ha approfondito la ricerca storica.
Per gli occhi di un bambino l’esperienza del recarsi al molino era una bella avventura.
Un signore anni fa così mi raccontava: «Provo ancora oggi commozione ritornare a quei tempi quando assieme ai miei compagni di cortile attraversavamo il lungo sentiero che portava dal Punt del Seves al Murin tra due filari di robinia, per ammirare il salto rumoroso dell’acqua del Sevesèt nella gora e il girare delle grandi ruote, rincorrere le vari specie di animali da cortile vaganti nell’aia della cascina e ascoltare il gridio delle rondini che avevano il nido sotto i portici.
Il mulino era per gli abitanti di Meda, Cabiate, Seveso, Farga, Birago e Camnago il luogo per incontrarsi in autunno dopo il raccolto. Mentre le macine giravano e i cavalli dei contadini riposavano sotto i portici, gli uomini discutevano di carestia, di abbondanza e di lavoro.
Poi tornavamo a casa attraversando il ponticello sul Sevesèt, imboccando la salita erbosa della via Molino che portava o alla via per Lentate o in Vigna».

Le fonti documentarie

Prima fonte

Un primo dato lo prendiamo direttamente da quello che dovrebbe essere la carta magna dell’urbanistica del Comune di Meda del giugno 2012: il Piano di Governo del Territorio – Complessi rurali – Repertorio dei beni Storico-Archi tettonici e Ambientali, pag. 43, che troviamo nel link:
https://www.comune.meda.mb.it/export/sites/default/.galleries/documenti/pgt/C5.pdf

Leggiamo la seguente scarna nota storica:
«Il Mulino Traversi è uno dei primi insediamenti rurali di Meda. Non sono state reperite documentazioni che certificano gli anni di fondazione, ma sicuramente la costruzione risale dopo la seconda metà del XIV secolo, periodo in cui fu costruita la roggia Viscontea, detta anche Sevesetto su volere di Bernabò Visconti per portare l’acqua al Castello di Desio.
La storia del mulino è legata alla presenza del monastero successivamente diventò proprietà delle famiglie Maunier e Antona Traversi. Il mulino continuo la macinazione ad acqua fino al 1950 quando la roggia non venne più alimentata dal Torrente Seveso, ma rimase attivo con alimentazione elettrica fino al 1970».
A fianco dello scritto ci sono due fotografie della cascina, l’inquadramento mediante Google e la localizzazione urbana. Tutto bene, peccato che è stata sbagliata la cascina: quella rappresentata è la cascina del Binda di via Molino (Sic!).

Seconda fonte

La seconda fonte di notizie è il link regionale: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-04268/
Qui è pubblicata la fotografia (quella giusta) del nostro mulino e sotto la voce “Oggetto” le seguenti classificazioni: ambito tipologico principale: architettura industriale e produttiva; definizione tipologica: mulino; denominazione: Mulino Traversi.
Infine, la notizia sintetica: «Nel 1385 Gian Galeazzo Visconti dono alla moglie Caterina la roggia viscontea o Sevesetto, fatta scavare qualche decennio prima da Bernabò Visconti per portare acqua al castello di Desio. Il mulino è probabile abbia avuto inizio proprio in quell’epoca.
Fu in seguito proprietà del monastero di Meda, poi dei Maunier, degli Antona Traversi e dei Silva.
Il mulino funzionò fino al 1950 quando la roggia non venne più alimentata dalle acque del Seveso. Con l’uso dell’energia elettrica, il mulino rimase attivo fino agli anni Sessanta».

Come si evince è la stessa notizia di quella comunale messa in internet molto prima, nel 2007.

Terza fonte

Nei registri dei “Ruolo generale della popolazione” anni 1817, 1819 e 1838 sono trascritti i gruppi famigliari e la loro domiciliazione. Sappiamo che la Motta (appunto detti Murnee) era una famiglia numerosa costituita da una ventina di persone che abitavano nel Mulino Maunier (già Monastero di San Vittore).

Ruolo generale della popolazione del 1838, Comune di Meda

Quarta fonte

Presa visione dei catasti (mappe e sommarioni) Teresiano, Lombardo Veneto, Carte del Brenna e del Comune di Meda si può dedurre che la cascina del Molino mantiene sostanzialmente uguale la volumetria dell’edificio con l’aggiunta di qualche locale nel 1839. Il molino “da grano ad acqua con casa” nel 1858 funziona “con ruota” è considerato di seconda classe e classificato di condizioni “infime”.
Vi si giunge alla cascina percorrendo “la strada dei molini- diramasi questa strada dalla comunale per Lentate e termina alla stessa cascina dei mulini.
Strada di andamento piuttosto tortuoso e di una livellata piana in principio ed in discesa di fine.
Poco prima di giungere alla cascina incontra la roggia Traversi che si passa mediante un ponticello mantenuto dagli utenti.
Lunghezza 422 metri, larghezza 2 metri e 60 cm ” (Comune di Meda, Elenco strade, 12 agosto 1866).
La stessa strada prosegue per la cascina detta del Molinello.

Fino alla fine degli anni Novanta del secolo scorso le strade che collegavano alla cascina erano: la via Molino che dalla via Manzoni portava alla cascina del Batac per poi terminare a Camnago; il sentiero che collegava la costa Mal Marin con la Platê (oggi via Angeli Custodi) ed era parallela per un tratto al Sevesèt.

Mappa 1721 – ASM, Fondo U.T.E. mappe piane, Catasto teresiano, Comune di Meda 1721

Mappe Brenna 1837 – Carta topografica dei contorni di Milano, dette mappe di Giovanni Brenna, quadro n. 37, anno 1837

Mappale 1927 – Planimetria dell’abitato Comune di Meda 1927

Mulino e ospitaletto 1855 – ASM, Fondo U.T.E. mappe piane, Catasto Lombardo Veneto del 1855

Quinta fonte

È la relazione dell’ing Carlo Ferrari anno 1811 sullo stato di fatto della roggia di Desio depositata nell’Archivio Parrocchiale di Desio.
Il testo che qui fa seguito è estrapolato da libro Camnago la memoria ritrovata, di Mirco Capelli, Riccardo Meda, Matteo Sormani Turconi, Maria Cristina Volonté, edito Arkaikos, 2004, ho aggiunto qualche nota per una migliore comprensione dei termini.

– N. 297 Mulino detto del Rotta con due rodigini (n.d.r. ruote di macina inizialmente in legno poi in ferro) di ragione del signor Giuseppe Moniers (n.d.r Giovanni Giuseppe Maunier) successo alle R.R. Monache di Meda. È descritto e chiamato il Mulino del Ghitano nella relazione Bozzolo (n.d.r. Ingegnere incaricato per uno studio sullo stato di fatto della roggia nel 1775).
– N. 297 e mezzo. Guado poco al di sopra del nervile (n.d.r l’opera in molatura o in sasso che serve alla distribuzione dell’acqua sulle ruote idrauliche a mezzo di bocche) di detto mulino di cui passa una strada necessaria che mette a Camnaghetto.
– N. 298 Ponte di cotto largo braccia 8 sul quale passa la strada comunale di Meda Barlassina e San Pietro Martire (n.d.r era il famoso Pûnt del Seves).

Sesta fonte

Archivio Antona Traversi:
«Anno 1886. Molino con 3 macine, terra di qualità mediocre vicina alla Cassina, caseggiato parte buono, parte logoro».

Settima fonte

Articoli sulle pagine de “L’informatore di Meda” de Il Cittadino della Domenica.

Ottava fonte

Notizie acquisite ascoltando chi vi ha abitato, in modo particolare Esterina Zanella in Falasco (classe 1917), Pinuccia Annoni (1931), Cesarina Falasco (1939) e Adriano Falasco (1945, purtroppo morto nel 2020).

Nona fonte

Archivio fotografico Felice Asnaghi e Famiglia Falasco.

Struttura della cascina

La cascina aveva il corpo a forma di “L”, con il lato più lungo prospiciente la roggia. Lì l’acqua faceva un salto di tre metri sviluppando la forza necessaria per far girare la ruota di macina in pietra. Nella sua parte centrale c’era il portone d’ingresso.
La struttura nel suo complesso era su due piani. Al piano terra le cucine, al piano rialzato le camere da letto.
Naturalmente nel lato dove si macinava, buona parte dei locali era al servizio del mugnaio.
L’altra ala dell’edificio, la più piccola, era adibita all’attività contadina.
Caratteristico era il locale delle macchine (macina). Esse erano tre, giravano sotto la spinta dell’acqua per mezzo di grandi ruote dentate in legno.
La farina quella bianca del frumento, quella più scura della segale, quella gialla del mais (furmentun) si ammucchiava lentamente ma inesorabilmente sul bancone.
Un campanellino con il suo argenteo suono avvertiva quando le ruote erano prossime a girare a vuoto.
Dal soffitto pendevano una grande stadera e un grande crivello che ul murnee con solenni gesti faceva girare e saltare per mandare il grano.
Presso l’entrata interna al locale macina c’era un antico affresco della Madonna e sui muri dell’edificio che guardavano verso il cortile facevano bella mostra disegni, pitture opera del Ligerê un artista diremmo oggi di strada e di chiese che ha vissuto al mulino per un breve periodo di tempo.
La tubazione dell’acqua, benché tra le carte comunali si legge che il consiglio comunale ne aveva già preso in considerazione in una seduta del 1922, di fatto furono allestiti nel 1938 assieme ai cavi della corrente.
Per l’approvvigionamento idrico bisognava salire alla cascina del Binda di via Molino. L’acqua prima di essere usata per cucinare veniva scaldata in una grande pentola mediante un fornello di mattoni. C’era anche un piccolo lavatoio non coperto dove le donne della zona venivano a lavare i panni. Ogni tanto capitava che di notte i ladri rubassero i panni a mollo nella tinozza dell’acqua e le galline dal pollaio.
La proprietà del mulino nei secoli fu delle monache di San Vittore di Meda, possessori anche dei mulini di Novedrate, Cimnago e Farga la cui conduzione era stata data alla famiglia Porro.
Va detto che se da una parte il cenobio benedettino si accontentava di affitti bassi a differenza degli altri possidenti, dall’altra la manutenzione era scarsa e il rendimento minimo spesso a causa di mancanza di acqua nel Seveso.
Tant’è vero che nei contratti di investitura si specifica chiaramente che in caso di siccità l’affitto avrebbe dovuto essere pagato in denaro contante e non in grani macinati come di consueto.
Durante il Novecento il mulino inizialmente era dei Tittoni di Desio (imparentati con i Traversi per mezzo della moglie), poi a metà anni Trenta passò ai Silva di Seregno.
Il loro fattore, tale Gaffuri di Bovisio aveva il compito di incassare l’affitto ogni san Martino, a cui subentrò Antonio Busnelli (Togn di Bram) di Meda.
La cascina negli ultimi anni Sessanta era in condizioni malandate e si arrivò al compromesso di non versare l’affitto ma usare i soldi per sistemare la casa.

Molino traversi_1

Molino traversi_2

Cascina del Mulino anni Cinquanta (Fotografie, cortesia famiglia Falasco).

Felice Asnaghi